Il comune denominatore di tutta la propaganda animalara è che nei laboratori e negli allevamenti gli animali vivano una vita d’inferno. Sembrerebbe che un animale possa star bene solo sul divano di casa, e tutta l’iconografia della propaganda animalara è improntata su questo principio. È davvero così? Per capire se e quando un animale sta bene, possiamo davvero fidarci ciecamente della nostra “pancia”?
Sono molte le sciocchezze dette da Edoardo Stoppa nei suoi servizi sui quattro macachi dell’Università La Sapienza di Roma. Trovate una carrellata delle più importanti in questo video e in quest’altro.
Ve n’è però una ch’è subdola più dell’altre, poiché di rado viene affermata in modo esplicito. Si preferisce piuttosto lasciarla sottintesa; una vera e propria premessa implicita, cosa ch’è a tutti gli effetti una tecnica di manipolazione del consenso.
Questa premessa consiste nel sostenere che gli animali da laboratorio siano sottoposti a indicibili sofferenze, fin dagli allevamenti che li fanno nascere. Tutta l’iconografia della propaganda animalara è incentrata su questa premessa.
È davvero così? Gli animali da laboratorio stanno veramente così male? Sempre e ovunque?
Per provare a riflettere su questo aspetto, che certo non è di secondaria importanza, vi propongo anzitutto questo video, che ho trovato divertente ma al contempo un po’ inquietante. In particolare, prestate attenzione alle emozioni ch’esso suscita.
Cosa c’entra questo video con la zoopiria? Quelli sono robot. Non si possono maltrattare i robot, se non in senso strettamente meccanico.
Ebbene, è proprio questo il punto.
Il video è stato montato come se fosse un video di denuncia di maltrattamenti di robot. Sono molti gli stratagemmi usati dal regista per ottenere questo risultato: le inquadrature ad altezza “occhi” del robot ci spingono ad empatizzare con la macchina; gli umani che entrano ed escono dall’inquadratura senza che se ne veda il volto, disumanizzandoli; e naturalmente le musiche, la scelta degli spezzoni, il montaggio e l’uso sapiente dei rallenty.
Nonostante sappiamo trattarsi solo di macchine, non possiamo fare a meno di empatizzare in qualche misura con esse. È nella natura umana.

Il fatto che questo video sia in certa misura anche divertente è dovuto proprio al contrasto cognitivo tra la nostra mente razionale, che sa trattarsi di automi, e la nostra “pancia” che non può fare a meno di reagire empaticamente. Ovvero come se noi fossimo al posto di quelle macchine.
Cosa ci insegna quindi questo filmato?
Ci insegna che su certe cose non possiamo fidarci ciecamente della nostra pancia. Se lasciamo fare a lei soltanto, corriamo il rischio d’ingannare noi stessi, invocando pietà quando non ve n’è bisogno, o non vedendone la necessità quando servirebbe.
Soprattutto se immagini e filmati sono confezionati appositamente per evocare tali sensazioni, come nell’esempio dei robot. O come nei filmati di Edoardo Stoppa.
Sia chiaro che ciò vale in entrambe le direzioni. La nostra pancia, da sola, non ci dà indicazioni attendibili sulle situazioni di maltrattamento né su quelle di benessere.
Siamo sicuri che il cagnolino che passa le sue giornate a mendicare cibo, poi rifiutandolo per non perdere le attenzioni del padrone, viva una vita serena e felice?
Siamo sicuri che i macachi del professor Caminiti stiano davvero così male?
Soprattutto: siamo sicuri che, in caso venissero “liberati” andrebbero a stare meglio?
Non è stato così per i topi rubati all’Università di Milano e anche per i cani rubati a Green Hill qualche dubbio è legittimo. I macachi sono ben più difficili da gestire di topi e cani, e ci sono anche dei precedenti atroci. Chi se la sentirebbe di scommettere?
Per fortuna degli animali, i ricercatori sono ben consapevoli di quanto possa essere complicato garantire il loro benessere psicofisico, cosa peraltro indispensabile alla buona riuscita di ogni esperimento.
Per questo esistono opportune specializzazioni, leggi severe, e veri e propri santuari per animali da laboratorio in pensione. Ne parlano più approfonditamente in questo articolo pubblicato da Italia Unita per la Scienza.
Non esistono scorciatoie: per evitare di fare danni non basta la “pancia” e neppure il “buonsenso”, perché niente è scontato. Bisogna collegare il cervello.
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Stephen Budiansky – Se un leone potesse parlare