Il gregge del 95%

Torno a scrivere per il mio blog con un post lungo, ma non ho scelta, perché l’immunità di popolazione è argomento complicato. È anche molto importante, perché è diventato uno dei capisaldi della retorica della confusione che caratterizza il dibattito sui vaccini.

Malattie di cui da tempo non si sentiva parlare sono tornate ad attrarre l’attenzione della cronaca, offrendo così la sponda alla confusione che caratterizza la retorica dei dibattiti politici e delle aule dei tribunali. Sono molte le figure che alimentano questa confusione, talvolta per imperizia, talaltra volontariamente, per tornaconto personale.

Una parte rilevante di quella che è diventata una vera e propria retorica della confusione sembra ruotare attorno ad una percentuale: il famoso 95%.

La versione semplice della questione si riassume nel concetto base dell’immunità di popolazione: se le persone vaccinate (o comunque immuni) scendono al di sotto di una data percentuale, le malattie riescono nuovamente a circolare con facilità, con tutte le conseguenze che questo comporta.

Sembra un concetto semplice, ma nella scienza è bene diffidare delle cose troppo semplici. Dietro a quel 95% ci sono ragionamenti insospettabilmente complessi, ed è per questa ragione che limitare la discussione a quel semplice numero e a quel semplice concetto, apre la strada alla retorica della confusione.

Confusione che è utile a chi specula sulla diffidenza e sulle paure delle persone.

Il risultato, come minimo, è quello di lasciarci il dubbio sull’opportunità di contribuire alle liste d’attesa dei centri vaccinali; su quali vaccini fare, e con quale urgenza.

Per chiarirci le idee non ci resta che fare lo sforzo di capire meglio cosa significhi questo 95%; anche se è materia complessa, è l’unica strada per distinguere chi parla con cognizione di causa da chi invece alimenta la confusione, e non merita quindi il nostro tempo né la nostra attenzione.

Il primo passo per capirne di più è metterci nei panni di un agente infettivo contagioso.

Nei panni del nemico

Siamo riusciti ad entrare in un individuo, a spese del quale possiamo finalmente cominciare a riprodurci. Già in questa fase ci si presentano le prime difficoltà.

· la nostra vittima possiede un sistema immunitario che non tarderà ad identificarci come estranei e pericolosi. Inizierà quindi a produrre difese sempre più imponenti e mirate: per allora dovremo aver trovato almeno un’altra vittima o finiremo annientati.

· Mentre ci facciamo strada nella nostra vittima, i nostri fratelli stanno facendo la stessa cosa con le altre potenziali vittime intorno a noi, togliendoci spazio vitale. Col passare del tempo la probabilità di trovare nuove vittime tende quindi a ridursi. Infatti, siccome il sistema immunitario è in grado di memorizzare le nostre caratteristiche, ci rende di fatto impossibile aggredire qualcuno che sia già stato infettato in passato, da noi o dai nostri fratelli. Se non ci riproduciamo abbastanza in fretta rischiamo di arrivare tardi, e non trovare più potenziali vittime intorno a noi.

· Tuttavia, se ci riproduciamo troppo velocemente rischiamo di trovarci di fronte a due difficoltà. Anzitutto potremmo debilitare la nostra vittima troppo e troppo in fretta (in effetti potremmo addirittura ucciderla), impedendogli di muoversi e riducendo quindi drasticamente la nostra probabilità di incontrare nuovi bersagli. Inoltre, se esageriamo davvero con la velocità, rischiamo addirittura di contagiare le nostre vittime più in fretta di quanto esse non si riproducano, esaurendo rapidamente il nostro stesso spazio vitale. In casi estremi potremmo arrivare ad estinguerci da soli!

La soluzione di questi nostri problemi, così contraddittori, non è né semplice né scontata, perché essa dipende sia dalle nostre caratteristiche di agente patogeno, sia da fattori esterni che possono variare nel tempo e nello spazio, come la densità delle potenziali vittime (non solo quante sono, ma anche quanto sono vicine tra loro) o le condizioni climatiche.

In teoria possiamo evolvere degli stratagemmi per aggirare questi problemi. Ad esempio potremmo imparare a:

· depistare il sistema immunitario creando finti bersagli sempre diversi, come fanno alcuni parassiti;

· nasconderci dal sistema immunitario, come fanno gli Herpesvirus o l’HIV;

· cambiare continuamente faccia, come fanno i virus dell’influenza;

· sopravvivere fuori dalle nostre potenziali vittime, attendendo per tempi anche molto lunghi che se ne presentino di nuove, come fanno molti batteri.

Tuttavia, non a tutti è data la possibilità tecnica di evolvere caratteristiche di questo tipo.

Infine, ma non certo per importanza, anche le nostre vittime possono evolvere, o comunque imparare a difendersi meglio: il rischio di estinzione è sempre dietro l’angolo.

Questo rischio di estinzione diventa particolarmente concreto se ad esso concorrono due fattori:

1) Per riprodurci e sopravvivere non abbiamo alternative alle nostre vittime.

2) Le nostre vittime imparano un qualche trucco per insegnare al loro sistema immunitario a riconoscerci e a combatterci prima ancora di incontrarci.

Questo trucco si chiama vaccinazione, ed è particolarmente insidioso per noi poveri microbi, perché è in grado di “togliere dal gioco” proprio quel flusso continuo di nuovi nati che ci è indispensabile per sopravvivere.

Quindi, che trucco insegnare al nostro sistema immunitario?

Ora che abbiamo capito un po’ meglio i problemi esistenziali di una malattia infettiva possiamo tornare al nostro punto di vista umano e cercare di capire di cosa dobbiamo preoccuparci noi, e in che misura.

Dalle riflessioni fatte possiamo già trarre alcune deduzioni importanti.

Da quando abbiamo smesso di vaccinarci le malattie infettive devono aver tirato un sospiro di sollievo: è infatti tornato un discreto rivolo di nuovi individui sensibili, che sta più o meno lentamente rimpinguando le file delle potenziali vittime. La prima cosa che dobbiamo dunque chiederci è se noi siamo delle potenziali vittime, ovvero quali malattie non abbiamo mai avuto e per le quali non siamo mai stati immunizzati.

Non essere immunizzati non è sufficiente ad ammalarsi: bisogna anche entrare in contatto con il patogeno, per cui può essere utile stilare un elenco delle malattie con cui potremmo concretamente entrare in contatto, in base al nostro lavoro, ai nostri hobby, ai luoghi e alle persone che frequentiamo, ai paesi che eventualmente abbiamo in programma di visitare.

Non dimentichiamo inoltre che è possibile che il nostro sistema immunitario, se non è più entrato in contatto con una malattia, si sia in parte “dimenticato” di essa, e non sia più in grado di reagire con la rapidità ed efficienza necessarie a difenderci completamente: potrebbe cioè essere necessario un richiamo.

Questo elenco di malattie rilevanti non è facile da fare perché prevede conoscenze non banali riguardo ogni singola malattia; è una buona idea quindi farsi aiutare dal proprio medico di famiglia.

C’è anche un’altra cosa di cui sarebbe bene tenere conto nello stilare la nostra lista: la possibilità che, pur non ammalandoci, trasportiamo una qualche malattia a qualche persona a rischio. Se per qualunque ragione frequentiamo ambienti particolarmente affollati, oppure bambini, anziani o persone malate, sarebbe una buona idea assicurarsi di essere coperti da quelle malattie non pericolose per noi, ma che potrebbero esserlo per chi ci sta intorno, come l’influenza. È in questo modo che l’immunità di popolazione funziona al meglio: rendendo la vita quanto più difficile possibile alle malattie contagiose.

Dalle considerazioni teoriche, al modello della diffusione delle malattie infettive.

Fino a qui le cose sembrano tutto sommato ancora semplici e riassumibili in due concetti base.

· Se le persone sensibili sono in numero sufficiente, la malattia si diffonde in fretta; man mano che si diffonde, il numero dei sensibili cala e la malattia rallenta, fino a quando i nuovi nati non compensano nuovamente gli immuni “usciti dal gioco”, permettendo alla malattia di accelerare nuovamente. Questo meccanismo è alla base delle normali “ondate epidemiche” di molte malattie.

· Se troviamo il modo di abbassare artificiosamente il numero dei sensibili (vaccinando), e se la malattia non ha alternative per sopravvivere, possiamo condannare l’agente patogeno all’estinzione, come accaduto per il vaiolo.

Da queste considerazioni deriva la famosa soglia del 95% di vaccinati (anzi: di immuni, perché contano anche gli ex-malati!) necessaria a raggiungere l’immunità di popolazione: se le persone sensibili scendono sotto al 5% del totale, per la malattia diventa infatti troppo difficile trovare nuovi bersagli; la media dei nuovi contagiati da ogni malato scende sotto a uno; eventuali focolai residui si esauriscono più o meno rapidamente; il patogeno, più o meno lentamente, si estingue.

Però, come già ricordato, nella scienza è bene diffidare delle cose in apparenza semplici. Semplificare può aiutarci a capire i meccanismi fondamentali che regolano ciò che ci accade intorno, ma quando abbiamo di nuovo bisogno di ritornare da queste semplificazioni (i modelli) al mondo reale, dobbiamo fare molta attenzione a non commettere due errori gravi. Ebbene: questi errori gravi sono sorprendentemente diffusi anche tra chi, sulla carta, sembrerebbe avere competenze specifiche; soprattutto, sono quasi onnipresenti nelle elucubrazioni di coloro che si improvvisano esperti. È quindi necessario spendere due parole in più su questi errori, per imparare a riconoscerli, perché questo è l’unico modo che abbiamo per difenderci dai parolai che, nella loro convinzione di aver capito qualcosa, creano solo confusione.

Distinguere i dati sperimentali dalle deduzioni fatte sulla base di un modello matematico

Il primo errore è quello di confondere i risultati di un modello con i dati sperimentali che ci vengono dall’osservazione del mondo reale. Può sembrare un errore “troppo grosso” per essere un problema diffuso, invece distinguere i dati sperimentali dai risultati di un modello può non essere sempre facile come sembra, ed è infatti un errore che commettono talvolta anche persone titolate (almeno sulla carta). Così, ad esempio, ci troviamo di fronte a chi contesta l’efficacia delle vaccinazioni pediatriche perché non riguardano gli adulti; quindi, secondo il loro ragionamento, vaccinare solo i bambini richiederebbe decenni per raggiungere l’immunità di popolazione. Alcuni parolai si spingono oltre, sostenendo che questo ragionamento dimostrerebbe nientemeno che l’inesistenza dell’immunità di popolazione; le malattie, secondo loro, si starebbero estinguendo più o meno spontaneamente, oppure per altre improbabili ragioni.

In realtà esistono dati precisi che ci dicono, ad esempio, che per alcune forme di meningite la vaccinazione pediatrica protegge anche gli adulti. Questo succede perché i microrganismi responsabili di questa malattia (per motivi non banali) si spostano in modo più efficace tra i bambini, mentre sono più in difficoltà con gli adulti. Proteggere i bambini riduce significativamente fin da subito la capacità di questi batteri di circolare, a beneficio anche degli adulti non vaccinati. Questo è quanto ci dicono i dati, e il fatto che non combacino con le deduzioni che si possono fare, ad esempio, sulla base del modello semplificato a cui siamo arrivati più sopra, ci dice una cosa importante: a quel modello sfuggono dei meccanismi che sono invece rilevanti. Se non abbiamo sempre ben presente quali sono i risultati sperimentali, i dati, e quali invece sono deduzioni fatte a partire da modelli, rischiamo di partire dalle deduzioni, per concludere che la realtà è sbagliata. Un assurdo, che però si legge fin troppo spesso su giornali e social network.

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L’immunità di popolazione è un fenomeno che noi osserviamo, una realtà empirica. Non è una deduzione fatta a partire da ipotesi; deduzione che potrebbe essere più o meno corretta. Il fatto che a volte sia insospettabilmente complicato spiegare questo fenomeno con i modelli della diffusione delle malattie infettive, non può certo negare l’osservazione empirica del fenomeno stesso. Significa, piuttosto, che la diffusione delle malattie infettive è materia complessa, di cui non sempre si riescono a cogliere tutte le sfaccettature – Il grafico mostra i casi di meningite batterica in UK prima (sx) e dopo (dx) l’inizio della campagna di vaccinazione pediatrica contro la stessa. Dopo meno di dieci anni, anche i casi tra gli adulti, che non erano stati vaccinati, si sono drasticamente ridotti, dimostrando che la vaccinazione pediatrica ha ridotto drasticamente la circolazione dei batteri responsabili di meningite. Fonte: MedicalFacts.it

Un modello introduce sempre una serie di semplificazioni, talvolta non ovvie né evidenti

Queste considerazioni ci portano al secondo punto cruciale della questione. Abbiamo visto che ogni volta che i dati osservativi si discostano dal risultato di un modello, questo significa che il modello è inadeguato a descrivere quella situazione che abbiamo osservato. Ciò è dovuto al fatto che un modello è necessariamente costruito su una serie di semplificazioni della realtà, semplificazioni di cui dobbiamo tenere conto ogni volta che facciamo ricorso ad esso. Il problema nasce dal fatto che alcune di queste semplificazioni sono, in un certo senso, involontarie; cioè fanno parte del modello non perché siano state scientemente decise a tavolino, ma perché abbiamo inconsapevolmente ignorato dei fattori e dei meccanismi importanti.

Purtroppo, anche questo secondo errore è molto diffuso anche tra gli “addetti ai lavori”, o apparentemente tali, tanto che non è infrequente incontrare sul web persone pronte a buttare a mare un fatto osservato decine di volte (come l’immunità di popolazione), solo perché il modello matematico dentro cui si sono divertiti ad inserire dei numerini, ha fornito loro un risultato in disaccordo con alcuni dati osservativi. Una confusione molto simile a quella tra dati e deduzioni già vista prima.

Il motivo per cui queste cose accadono dovrebbe cominciare ad essere chiaro già ragionando sul modello descritto qui sopra, che nella sua banalità priva di numeri, di semplificazioni ne contiene veramente tante, e non tutte ovvie.

Per esempio, una semplificazione di cui non ci si rende conto immediatamente è che siamo partiti dal presupposto che le probabilità che un malato contagi un nuovo individuo sensibile siano sostanzialmente uguali per tutti i malati, sempre e in ogni luogo. Se ci pensate, non è affatto così, per tante ragioni. Ad esempio:

· i contatti sporadici all’aperto sono molto meno efficienti nel trasmettere le malattie rispetto al condividere un luogo chiuso e affollato per diverse ore (ad esempio una scuola);

· alcune categorie di persone si spostano molto più di altre e hanno contatti interpersonali molto più frequenti;

· alcune categorie di persone entrano in contatto più di frequente con soggetti sensibili (ad esempio il personale sanitario);

· in città si incontrano mediamente molte più persone di quanto non accada nelle aree rurali;

· le persone tendono a frequentare più spesso e per più tempo i proprio coetanei, rispetto a quanto non facciano con persone più giovani o più vecchie di loro.

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Il modo in cui le persone si distribuiscono, si muovono, si incontrano e si frequentano, non è omogeneo. La soglia del 95% per il raggiungimento dell’immunità di popolazione è quindi solo una prima approssimazione utile per monitoraggi a vari livelli di dettaglio, ma che non ci esenta dalla necessità di considerare anche altri parametri per ottimizzare il controllo ed eventualmente eradicare una malattia infettiva. – Foto: blulightpictures, pixabay.com

Queste semplici considerazioni hanno conseguenze importanti. Ad esempio, la famigerata soglia del 95% dipende in realtà anche dalle condizioni demografiche di contorno: per il morbillo, nelle grandi città, potrebbe essere insufficiente a garantire l’estinzione del virus, mentre in aree poco popolate potrebbe bastare anche qualche punto percentuale in meno.

La questione è complessa, e per farvi un’idea dei fattori in gioco potete dare un’occhiata a questo articolo del Professor Luigi Lopalco, che aiuta molto a chiarire un concetto fondamentale: non si può fare epidemiologia senza tenere conto della complessità dei fattori demografici.

Non dobbiamo però lasciarci scoraggiare dalla complessità del concetto di immunità di popolazione: noi comuni mortali non abbiamo davvero la necessità di farci i calcoli in casa per prevedere l’andamento della prossima stagione influenzale. Se ora riusciamo a capire quanto siano ingenue le affermazioni di chi sostiene che l’immunità di popolazione non esiste perché nel tal posto c’è stato un focolaio (magari in una piccola comunità, con un elevatissimo tasso di non vaccinati), oppure quelle di chi ci vuole convincere che l’allarme per l’influenza sarebbe esagerato perché lui ha messo dei numerini dentro una formula che gli ha dato un risultato piccolo, avremo già fatto un enorme passo avanti per distinguere chi parla con cognizione di causa dai cialtroni e dai trafficanti di dubbi. E questa è già una vittoria importante, perché i parolai valgono meno del nostro tempo, e non meritano quindi di essere letti né ascoltati.

 

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Un commento

  1. Sarebbe bello se la realtà fosse come nei telefilm americani,dove dopo 5 secondi netti
    di intenso tappettio sulla tastiera esce una schermata grafica animata da paura con”..i dati dimostrano che non si sta diffondendo..”..”accuratezza della previsione?” “99.9 % signore”
    E via a velocità di curvatura.

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